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Giappone  
Tsuyoshi Hayashi

Kawara design system

Kawara è il termine giapponese per indicare l’elemento architettonico specializzato per i sistemi di copertura; nondimeno l’espressione è portatrice di un’accezione aggiuntiva rispetto a quanto noi occidentali intendiamo semplicemente per «tegola». 

Le kawara, infatti, messe in opera comunque per svolgere l’essenziale funzione, propria del rivestimento – proteggere l’edificio da vento, pioggia, intemperie – aggiungono un significato di protezione simbolica, confidando gli abitanti misticamente in essere per una «copertura», per l’appunto, di ordine «superiore», dei propri spazi abitativi quanto delle proprie esistenze.

L’origine delle tegole kawara pare risalire al tardo VI secolo, con l’arrivo del buddismo in Giappone dalla Cina, e con esso del suo carico di significati e comportamenti rituali. Molti edifici storici, come in Kyoto, combinano sulle proprie falde kawara contemporanee e più antiche, conservate da più di 300 anni.

Testimonianza del valore attribuito agli elementi di copertura tipici del Giappone, è proprio la cura realizzativa e l’attenzione alla geometria che permane nelle diverse tipologie formali contemporanee delle kawara.

Innanzitutto, la tecnica produttiva è stata finalizzata fin dalle origini ad assicurare agli elementi la permanenza nel tempo. Le kawara infatti sono realizzate in pasta di argilla cotta a più di 1.200 gradi e ciò conferisce loro, oltre alla refrattarietà, grande resistenza ai carichi di compressione. 

La curva morbida della linea di sezione, comune alle varie tipologie di tegole kawara, e la varietà invece presente nelle configurazioni formali della parte di esse che consente l’incastro a secco (in diversi casi riportante un elemento circolare che chiude le falde con singolari forme parallele e tubolari), conferiscono ai tetti giapponesi una originale armonia e continuità.

Non ultima la cura dei dettagli che si esprime negli elementi figurativi simbolici di corredo che noi occidentali contemporanei definiremmo, riduttivamente, elementi decorativi (un’ampia campionatura di elementi di finitura con raffigurazioni simboliche tradizionali, sono presenti al museo dedicato specificatamente alle kawara).

Takahama è la città giapponese ove sono concentrate ancor oggi la maggior parte delle industrie specializzate nella produzione di elementi in laterizio per coperture.

Nel XXI secolo le kawara prodotte per l’edilizia giapponese, pur conservando un forte valore metaforico, sono prodotte industrialmente per rispondere alle esigenze del contemporaneo mercato delle costruzioni e assecondarlo nelle direzioni di gusto, nell’aggiornamento di stili e interpretazioni. 

Partendo dall’attribuito valore simbolico, per il mercato contemporaneo è stato processo naturale captare tale sensibilità da parte del pubblico e farne fattore di incremento di produzione, vendita e profitto.

L’industria giapponese realizza più di 65.000 tegole di scarto, il 5% della produzione complessiva, destinato alla discarica o alla frantumazione per farne componenti per conglomerati cementizi. Lo scarto non avviene solo in seguito a eventuali difetti di produzione quant’anche per ricerca di varietà produttiva o sperimentazioni su nuovi prodotti.

È nella varietà cromatica di smaltatura superficiale della terracotta delle kawara che si esprime la specificità dell’industria giapponese contemporanea. Vi è infatti una particolare attenzione alla produzione degli smalti che ne rivestono lo strato superficiale: giornalmente l’industria giapponese realizza 30/40 nuovi colori da presentare al grande pubblico, assecondandone o anticipandone ogni sfumatura di desiderio, attraverso la sperimentazione continua di texture e di rari cromatismi, in artefatti campione che vengono poi scartati anche se privi di reali difetti. 

Di fronte a tale contesto, unico proprio per la complessità dei significati che la cultura orientale porta con sé, coniugando l’atteggiamento operativo e il metodo propri del design contemporaneo, si è posto il giapponese Tsuyoshi Hayashi, attratto dalla caratterizzazione formale non mutata nel tempo delle kawara quanto dai sempre diversi cromatismi degli elementi di scarto. 

Il progetto di Tsuyoshi Hayashi è un buon esempio di riuso creativo che trasforma elementi da costruzione altrimenti inutilizzati in un sistema di elementi per sedute e scaffalature.

Hayashi lavora a Eindhoven, dove ha svolto gli studi di design e nel progetto è facilitato dalla distanza critica frapposta tra lui e il paese di origine, nonché, sicuramente, dall’attitudine alla manipolazione delle forme. Osservando le kawara come oggetti in sè, per la loro specifica forma e consistenza materica, al contempo discostandosi da quei significati arcaici che le hanno viste da lungo tempo a caratterizzare le coperture giapponesi, le rivede recuperate e portate a nuova vita in sistemi di complementi di arredo. 

La linea curva e morbida della sezione, le proporzioni dimensionali di ciascun artefatto (una singola tegola è circa 27 per 35 cm), sono un invito alla decontestualizzazione e quindi al trasferimento in ambito di una gestualità altra, a contatto con il corpo, per farne sedute di diverse altezze, o elementi di sostegno per mensole e scaffali.

Le kawara di scarto giacciono in grandi stock e, per il progetto, è necessaria una azione di selezione visiva e manuale degli elementi meglio conservati, su cui intervenire con eventuali tagli per uniformarne la sezione.

Per loro natura le kawara possono sopportare il carico di una persona fino a 120 chilogrammi; le superfici smaltate, ideali per ambienti esterni quanto interni, sono piacevoli al tatto e alla vista. La materia laterizia originaria, per sua intima natura, si presta a essere composta e congiunta a un altro materiale, il legno, senza richiedere complessi elementi di connessione. È sufficiente lo studio degli incastri e alcuni minimi innesti di componenti magnetici per consolidarne la solidità. Tutte le componenti – la kawara e le aste lignee – smontate e raggruppate fanno un flat-pack ideale per l’auto montaggio. 

Nascono così, connettendo modularmente gli elementi in terracotta alla essenziale semplice struttura portante, le singole sedute kawara chair, oppure le sedute a sistema tra loro connesse kawara bench, gli sgabelli kawara hi-stool: prodotti unici, essenziali nelle forme. Le sfumature cangianti delle kawara, innestate e assorbite nelle strutture tanto da non essere riconoscibili come tegole da copertura se non a un occhio esperto, sono combinabili in sempre diverse sequenze di elementi da seduta o scaffali, ottenuti con lo stesso principio ma utilizzabili, appoggiati a parete, per il sostegno di oggetti, libri, piante o come elementi decorativi. Così, con pochi ma semplici gesti, dei rivestimenti laterizi di alta qualità ma inutilizzati, ritenuti inutili e non recuperabili, essenzialmente considerabili ««spreco»», tornano a nuova vita e grazie all’ingegno creativo e al lavoro manuale, riacquisiscono forse in parte, o almeno trasformano e attualizzano, il senso e lo spirito originario delle arcaiche kawara giapponesi. 

Veronica Dal Buono Architetto
ricercatrice, Dip. di Architettura di Ferrara

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