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Guido Magenes

Italia sismica: serve progettazione competente, rispetto delle norme e valore economico agli edifici sicuri

Mentre l’Italia continua a tremare, Guido Magenes, professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura di Pavia ed esperto di progetto e analisi delle costruzioni in zona sismica, fa chiarezza su cosa voglia dire una casa sismicamente sicura e dice la sua su come fare per accelerare la messa in sicurezza degli edifici italiani.

Le costruzioni progettate in epoca moderna, secondo le ultime normative in materia e molte di queste in muratura portante, durante il sisma del 2012 si sono comportate in maniera egregia: i danni nella stragrande maggioranza dei casi sono stati assenti oppure minimi, a crollare sono quasi sempre edifici vecchi, non mantenuti o con altezze o luci elevate.
I danni da sisma sugli edifici sono abbastanza indipendenti dal tipo di struttura orizzontale presente: i crolli e i danni significativi sembrano quasi sempre riconducibili alla bassa qualità muraria dovuta principalmente a leganti di qualità molto scarsa, non tanto al tipo di strutture orizzontali, più o meno pesanti, più o meno rigide. Tant’è che non solo gli edifici in calcestruzzo si sono ben comportati durante gli eventi sismici ma anche le costruzioni ad esempio in laterizio, ovviamente se edificate secondo le più recenti normative e a regola d’arte.
L’importanza della “Classificazione sismica degli edifici”, in arrivo al massimo entro il 28 febbraio 2017, secondo Magenes dovrebbe determinare anche una fetta del valore economico dell’edificio alla stessa stregua della classificazione energetica.

 Professore, una casa può essere tranquillamente costruita - ad esempio - in laterizio e presentare un’ottima capacità di resistenza alle azioni sismiche?

Una progettazione competente, che rispetti le normative sismiche vigenti, unita all’utilizzo di materiali di qualità e a una messa in opera a regola d’arte: sono questi gli ingredienti fondamentali per la costruzione di edifici sismicamente efficienti.

Cosa ha dimostrato il terremoto del 2012 in Emilia Romagna?

Gli edifici in muratura crollati in quell’occasione sono stati per lo più edifici rurali particolarmente vulnerabili o non mantenuti, oppure edifici vecchi o con altezze o luci elevate, caratterizzati da una certa flessibilità, come chiese e campanili, che possono aver risentito molto anche delle caratteristiche particolari del moto del terreno. Quello che però possiamo dire con certezza è che costruzioni progettate in epoca moderna, secondo le ultime normative in materia e molte di queste in muratura portante, durante il sisma del 2012 si sono comportate in maniera egregia: i danni nella stragrande maggioranza dei casi sono stati assenti oppure minimi».

Progettazione attenta, qualità dei materiali e attenzione nella posa in opera sono fondamentali. Il terremoto che lo scorso 24 agosto ha colpito i comuni di Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto lo conferma?

È ancora presto per avere un quadro significativo dal punto di vista statistico di quello che è successo sulla popolazione degli edifici di Amatrice, Accumoli e delle altre aree colpite, ma sicuramente chi come me ha fatto numerosi sopralluoghi in diverse zone colpite dal sisma ha potuto notare alcuni fatti ricorrenti. Certamente la grande maggioranza dei danni è concentrata sugli edifici vecchi, costruiti in muratura di pietra disordinata, pietrame, pietra sbozzata, e il problema sembra risiedere soprattutto nella qualità della malta, estremamente scarsa. Insomma, i danni in questi casi sono abbastanza indipendenti dal tipo di struttura orizzontale presente: i crolli e i danni significativi sembrano quasi sempre riconducibili alla bassa qualità muraria dovuta principalmente a leganti di qualità molto scarsa, non tanto al tipo di strutture orizzontali, più o meno pesanti, più o meno rigide. Certamente la presenza di catene migliora sensibilmente il comportamento dell’edificio, ma se la qualità muraria nel suo insieme è troppo scadente le sole catene non sono sufficienti e si possono avere collassi anche con solai e coperture leggere.

Anche in Lazio le costruzioni moderne pare si siano comportate bene?

Effettivamente anche ad Amatrice e Accumoli ho potuto vedere numerosi casi in cui la costruzione in pietra di scarsa qualità e obsolescente è completamente crollata, mentre la costruzione a fianco, costruita o manutenuta recentemente, ha subito danni lievi. È chiaro quindi che interventi di manutenzione o miglioramento sismico hanno avuto i loro benefici».

Ma non si può generalizzare; ristrutturazioni eseguite senza un’attenta e consapevole progettazione dell’intervento possono essere inefficaci o addirittura controproducenti, può spiegarci meglio?

Dobbiamo ricordarci che quella di Amatrice è stata una scossa molto forte. Le massime accelerazioni del terreno registrate sono state attorno ai 0.45g; per quanto riguarda le accelerazioni spettrali si è arrivati anche a 1,0g ÷1,5g , cioè una volta e mezza l’accelerazione di gravità. Questo dà l’idea dell’intensità della scossa e corrisponde tra l’altro ad accelerazioni spettrali che, facendo un parallelo con la normativa sismica e le azioni sismiche di progetto, per le strutture rigide hanno un tempo di ritorno del migliaio di anni, quindi vicino a quello che si ritiene essere a grosso modo la massima intensità possibile del moto per quelle zone. Questa è sicuramente un’altra causa dei forti danni subiti dagli edifici in muratura più vecch.

E per quanto riguarda gli edifici di moderna costruzione?

Nel complesso la sensazione è che ancora una volta, come nel caso del terremoto dell’Emilia Romagna, gli edifici costruiti secondo i criteri moderni di progettazione e costruzione in zona sismica si siano comportati bene ed abbiano avuto danni limitati se non nulli. Viceversa, edifici costruiti in assenza di queste norme antisismiche tendono a mostrare problemi importanti. Il grande problema endemico del nostro territorio è soprattutto quello della muratura in pietra di bassa qualità che effettivamente costituisce una tipologia molto vulnerabile.

Del resto va anche tenuto presente che le conoscenze nell’ambito dell’ingegneria sismica sono evolute significativamente in tempi anche relativamente recenti, cosa ne pensa?

La classificazione sismica del territorio italiano è cambiata drasticamente negli ultimi decenni: negli anni ’60 e primi anni ’70 quasi tutto il nostro Paese non era ancora ritenuto a rischio sismico, oggi invece è praticamente il contrario. Anche le conoscenze sulla resistenza sismica degli edifici si sono molto evolute nel corso degli anni. Si parla molto della ricostruzione post-terremoto del Friuli (era la fine degli anni ’70), dicendo che in quel caso è stato fatto tutto bene. In realtà è più corretto pensare che sia stato fatto il meglio che si poteva fare con le conoscenze che si avevano a disposizione in quel periodo: credo però che tutti i miei colleghi possano concordare con me sul fatto che le conoscenze nell’ambito dell’ingegneria sismica di fine anni ‘70 e degli anni ‘80 non siano quelle attuali. Oggi abbiamo fatto tanti passi avanti, abbiamo competenze maggiori e più terremoti dietro le spalle da cui abbiamo imparato molto. Quando si parla quindi di edifici mal costruiti e mal progettati, bisogna sempre contestualizzarli all’epoca in cui sono stati progettati e costruiti e allo stato delle conoscenze di quel periodo. Certo, ci possono essere edifici costruiti anche recentemente che non sono adeguati, ma ancora una volta dico che va esaminato caso per caso senza fare generalizzazioni superficiali.

A seconda della qualità degli strati superficiali del suolo cambia la frequenza e l’ampiezza delle onde sismiche, come tenerne conto?

Non è da escludersi che anche ad Amatrice ci siano stati problemi legati ai cosiddetti effetti di sito. In generale un’attenta valutazione delle caratteristiche del sito su cui si va a costruire è molto importante. 

Alla luce delle conoscenze attuali, quali sono i punti cardine che indirizzeranno il futuro della progettazione sismica?

In una società moderna e sviluppata come la nostra in cui il territorio e l’ambiente costruito hanno un elevato valore economico, la protezione della vita umana è sicuramente l’obiettivo primario, ma anche la riduzione del danno è molto importante, affinché non ci siano conseguenze economiche eccessive sul territorio. L’esempio dell’Emilia Romagna in tal senso è piuttosto significativo: il numero di vittime è stato abbastanza limitato rispetto alla popolosità del territorio, ma a livello di danni economici, specialmente sulle realtà produttive, l’impatto è stato enorme.

A questo si riferisce il cosiddetto approccio “prestazionale” già introdotto dalle normative più moderne?

Il concetto è che alle nostre costruzioni si richiede di garantire diverse prestazioni in corrispondenza di diversi livelli di scuotimento del terreno, a loro volta associati a diversi periodi o tempi di ritorno. Se si considera il massimo terremoto che si può fisicamente sviluppare in una certa zona, come conseguenza di quelli che sono i meccanismi sismogenetici, ecco che per questi sismi forti o fortissimi magari ci si può anche accontentare, nel caso di un edificio residenziale, di prevenirne il collasso e di preservare la sicurezza delle persone. Per terremoti sempre forti, ma con un periodo di ritorno più basso, attorno ai 500 anni (riferimento convenzionale per la progettazione sismica), si può cercare di puntare anche alla limitazione del danno o alla riparabilità dello stesso. Infine per terremoti con periodo di ritorno dell’ordine di un centinaio di anni o meno si può pensare di chiedere al nostro edificio di non danneggiarsi e di mantenere la sua funzionalità. Queste prestazioni possono essere differenziate a seconda della destinazione d’uso dell’edificio. Chiaramente si devono chiedere prestazioni più elevate a un ospedale, ad esempio o a una caserma dei vigili del fuoco, inferiori ad altri tipi di strutture.

Secondo gli esperti, un punto debole nella la riduzione e la prevenzione del danno degli edifici è quello  delle parti non strutturali. Qual è la sua opinione?

In questo caso le norme e le conoscenze non sono così approfondite come per il comportamento strutturale: ci si preoccupa oggi molto, e abbiamo strumenti molto raffinati per farlo, di come progettare la struttura, ma non si è prestata finora molta attenzione al comportamento sismico di componenti edilizi come ad esempio l’involucro, o le partizioni, o più in generale il contenuto degli edifici. Questa, a mio avviso, è la nuova frontiera dell’ingegneria sismica.

Quali sono, quindi, le priorità imprescindibili delle nuove costruzioni in ottica antisismica?

Affidarsi a progettisti competenti e seguire le norme tecniche. Altra priorità è quella di stare attenti a come si progettano e costruiscono le parti non strutturali dell’edificio, che costituiscono una fetta molto importante nel costo di una costruzione. Noto che il mondo tecnico, scientifico e della produzione edilizia si stanno dando più da fare in questo senso da qualche anno.

Fondamentale sarà l’entrata in vigore della cosiddetta “Classificazione sismica degli edifici”, che utilizzerà un modello simile a quello usato per la certificazione energetica: sei livelli, dalla A alla F, che consentiranno di dire quanto un edificio è in grado di resistere alle sollecitazioni di un terremoto. Ci ha lavorato una commissione presieduta dal provveditore alle Opere pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna, Pietro Bartono. Tramite la classificazione saranno modulate le detrazioni fiscali del nuovo “sismabonus” e, soprattutto, saranno individuate quelle situazioni nelle quali è prioritario intervenire; qual è il suo parere in merito?

È certamente una cosa interessante. Non mi permetto di entrare nel merito e nel dettaglio specifico di come verrà fatta questa classificazione, ma ritengo in generale che sia un passo avanti soprattutto per quel che riguarda il problema, che tutti ci poniamo, di come ridurre il rischio sismico delle nostre case. Il problema interessa due ambiti diversi: il pubblico e il privato. Per il pubblico è evidente che la riduzione del rischio è legato alle risorse dedicate, che devono essere allocate in modo saggio, seguendo criteri di priorità definiti con attenzione. Questo processo è stato avviato già a seguito del terremoto del Molise del 2002 e sta tuttora procedendo, un po’ troppo lentamente però.

Per quanto riguarda il privato cittadino, invece, quali sono le criticità che frenano interventi di riqualificazione sismica della propria casa?

Il primo è la percezione del rischio sismico da parte delle persone, altissima quando avviene un terremoto, ma poi presto svanita. Il secondo è di natura economica: prima ancora di parlare di spese di intervento, bisogna considerare che ci sono da dedicare risorse per far valutare il proprio edificio, un’operazione che non è a costo zero; una volta ottenuto l’esito c’è l’impatto della valutazione stessa sul valore dell’immobile e sul proprietario in termini di investimento per adeguamento/miglioramento. Personalmente ritengo che finché il livello di sicurezza strutturale/sismica di un edificio non avrà un impatto concreto e visibile sul valore del bene dell’immobile è abbastanza improbabile che un privato cittadino decida di spendere dei soldi per fare un adeguamento sismico.

La soluzione? Esattamente come per l’adeguamento energetico, che assegna una quotazione economica più elevata a un immobile in classe A rispetto a uno in classe B o C, così anche la classificazione sismica accrescerà maggiormente il valore dell’immobile?

Solo così, a mio avviso possiamo pensare a una svolta significativa nella direzione dell’adeguamento sismico, nel volgere di qualche decina di anni. Lo Stato può e deve prevedere incentivi e defiscalizzazioni, ma non può prendersi completamente carico della messa in sicurezza di tutte le nostre abitazioni, devono essere anche i privati a occuparsene in modo consapevole nel momento in cui hanno le risorse per un investimento sulla casa, sapendo che un investimento in sicurezza porta anche a un maggior valore del proprio immobile.