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Silvia Minutolo – Archisbang

Riqualificare come scelta etica

Archisbang è uno studio che si occupa di architettura, ricercando una spazialità non-convenzionale nella progettazione di edifici ex novo e ristrutturazioni, abbinando alla progettazione architettonica l’analisi della domanda, la fattibilità economica e la strategia di comunicazione per supportare i propri clienti nella realizzazione di architetture vitali per il territorio, con l’obiettivo di coniugare sempre forza concettuale e concretezza realizzativa.

 

Sul vostro sito una sezione specifica è dedicata alle riqualificazioni, assieme ad architettura scolastica e ad aziende e spazi smart; c’è un motivo preciso che porta ad avere un’attenzione specifica per le riqualificazioni? È un tipo di intervento che vi si presenta frequentemente?

Sicuramente quella della riqualificazione è una categoria di interventi a cui siamo sensibili. Il patrimonio edilizio del nostro Paese lo conosciamo, per cui inevitabilmente le occasioni che si propongono sono spesso legate al tema della riqualificazione. Si tratta di occasioni progettuali che ci capitano frequentemente, senza dubbio. Ci sono anche però una scelta e una “cognizione” progettuale che ci rende sensibili a questo tema. Perché pensiamo che recuperare o partire dal patrimonio edilizio esistente sia doveroso in questo momento come primo step di sostenibilità. Ci si riempie tanto la bocca con questo termine “sostenibilità”. Il recupero è la cosa principale che si può fare, anche quando si tratta di trasformazione radicale, però farlo partendo dall’esistente e avendo a che fare con quello è una scelta etica in cui crediamo molto, rispetto al consumo di nuovo suolo.

I progetti di riqualificazione a cui lavorate determinano in voi un approccio particolare al progetto, con tratti propri e distinguibili?

Sì, certo. Per la verità anche quando ci approcciamo al nuovo, partiamo dalla relazione con il contesto e dalla preesistenza che comunque non sarà mai un intorno vuoto e sconfinato.
A maggior ragione, quando si tratta di lavorare su un edificio esistente, il progetto parte dal suo studio, dal capirne e interpretarne il carattere. Poi, più o meno prezioso che sia, più o meno dotato quale patrimonio architettonico e culturale, crediamo che le caratteristiche intrinseche dell’esistente siano sempre uno spunto di lavoro a livello progettuale.
Noi ci raffrontiamo con questo indipendentemente dal livello in cui si può classificare l’esistente. È uno spunto progettuale e un’occasione di lavoro che ti porta a pensare a soluzioni sempre diverse e sempre cucite sull’occasione specifica. Per cui è anche un’occasione dal nostro punto di vista. Sicuramente un vincolo, ma al tempo stesso un’occasione.

Nelle riqualificazioni la consistenza materiale dell’edificio preesistente costituisce quanto meno il dato di partenza con cui confrontarsi. Nei vostri lavori la tecnologia costruttiva quale spazio occupa?

Mi riferisco al fatto che l’architettura contemporanea presenta esiti molto diversi fra loro, in alcuni dei quali la tecnologia assume ruoli determinanti. Per noi la questione della tecnologia costruttiva non si può separare dal progetto architettonico. Ovviamente è insita nel progetto architettonico: è spazio, ma spazio dove la tecnologia è parte della concezione progettuale. Questo fa sì che il materiale e la tecnologia siano una parte radicata del progetto, e non un muscolo da esporre, né tantomeno una pelle. Difficilmente lavoriamo con strutture che si disinteressano del guscio oppure che lo separino dal resto. Solitamente la tecnologia costruttiva è strettamente integrata al pensiero progettuale.

Tra i vostri progetti di riqualificazione più noti è l’intervento alla scuola Giovanni Pascoli di Torino, le cui fotografie di cantiere hanno messo a nudo strutture voltate possenti e pilastri di sezione molto elaborata. Come hanno inciso sul vostro lavoro in funzione dell’obiettivo finale? Quali scelte hanno imposto dal punto di vista tecnico e compositivo?

Tutto il tema di quel progetto partiva dall’ambizione di portare uno spazio fluido e innovativo dentro a dei muri, muri di un edifico esistente con una struttura importante.
Inoltre un edificio vincolato, con quindi tutta una serie di caratteristiche di cui dover tenere debito conto. Tutto il progetto partiva da questa sfida: come una struttura di quell’epoca fosse in realtà capace di adattarsi a un uso contemporaneo e flessibile, e fare questo riportando alla luce la bellezza e l’importanza della struttura nuda che negli anni era stata nascosta da tamponamenti, cartongessi, partizioni adattate nei secoli. Tutto il nostro progetto lavora sul portare a percepire la struttura come un elemento ben evidente, portante e visibile, e poi invece operare con partizioni leggere, trasparenze, che poi non fanno altro che esaltare la struttura stessa senza mascherarla. Nelle parti di ampliamento e innesto abbiamo lavorato per lo più con il cemento armato unitamente a integrazioni laterizie. Per esempio nella sopraelevazione la copertura praticabile del terrazzo è appoggiata su una muratura portante che alza e modifica la falda preesistente.
Quindi la struttura verticale continua a essere una struttura in muratura anche nelle porzioni di nuova introduzione.


Altro lavoro davvero molto iconico è quello della villa Il Generale. La preesistenza anche in questo caso propone sistemi costruttivi che ampiamente attingono dalle tecnologie laterizie, ma molto diverse e più recenti. Anche in questo caso vi domando: come hanno inciso sul vostro lavoro, in funzione dell’obiettivo finale?
Concretamente l’intervento si è tradotto in queste operazioni di taglio e ricucitura della struttura esistente, anche qui una struttura mista in muratura portante e calcestruzzo, che più o meno con la stessa logica è stata ricucita e ricostruita, perché sono state cambiate le forature verso l’esterno; pertanto in qualche caso siamo andati a tagliare e in qualche caso siamo andati a completare.
Salvo poi inserire un box in cemento armato che funge da elemento antisismico e porta la piscina che è realizzata in copertura. Dunque in un punto particolare c’è una nuova “scatola” in cemento armato, per il resto tutte le murature sono state ricucite riprendendo la struttura mista preesistente.


Il laterizio in blocchi è stato impiegato per la costruzione/ricostruzione di alcune murature perimetrali. Quali sue caratteristiche vi sono risultate maggiormente utili?
Sicuramente si tratta di un involucro massivo, a cui si è aggiunta una cappottatura esterna ulteriormente finita a intonaco con un trattamento, per dargli una finitura grezza.
A livello di prestazione di questa parete anche abbastanza spessa, la muratura contribuisce, dal punto di vista della massa, a restituire un effetto che da un lato è estetico e da un lato è anche prestazionale rispetto all’edificio.

In generale, in base alla vostra esperienza, si può forse dire che intervenire su preesistenze laterizie consenta maggiore duttilità sotto il profilo tecnico, al fine della trasformazione degli immobili?
Penso sia al fatto che normalmente il laterizio si presta alle costruzioni mediante l’assemblaggio di elementi di dimensione contenuta, siano essi mattoni, blocchi, tavelle, pignatte, coppi; sia al fatto che il laterizio propone una grande varietà di elementi costruttivi ottenuti da una materia prima prettamente naturale.
Sono d’accordo. Anche quando oggi ci immaginiamo alcuni tipi di strutture in contesti diversi, anche strutture a secco, con differenti tipi di telai, è evidente che se da un lato magari qualcuno di questi sistemi permette di far guadagnare in possibilità di smontare e disassemblare, d’altro canto è chiaro che la flessibilità di determinate soluzioni è relativa.
Dopotutto un muro è forabile, ripristinabile, ricucibile. E quindi queste caratteristiche, la storia, la nostra tradizione, ce lo insegnano effettivamente. Un muro in conci laterizi è un elemento più flessibile di quello che si può immaginare.

In molti vostri elaborati di concorso per plessi scolastici il laterizio è proposto in soluzione faccia a vista. Quale valore attribuite a questa scelta? Si tratta di un modo per armonizzare l’architettura con il luogo, in senso solo estetico-culturale?
Sì, il faccia a vista è parte della nostra storia ed è sicuramente un elemento di massa e di terra, a cui noi siamo abbastanza legati.
Comunque anche sotto il profilo della percezione tattile, oltre che visiva e cromatica, il laterizio è molto spesso più in grado di dialogare di altri materiali; appunto lei citava le scuole, quindi anche e soprattutto in contesti dove un elemento percettivo di un certo tipo ha il suo peso. Pensiamo che il mattone sia un materiale che è in grado di restituire questa matericità, questa texture, con risvolti di stimolo didattico e sensoriale; ma non escludiamo di lavorare anche con murature portanti quando è possibile farlo, e cerchiamo di avere riscontro fisico del materiale anche all’interno quando è possibile.


Siete impegnati anche sul fronte dei bandi collegati al PNRR, che vi vede progettisti di alcuni interventi scolastici. Sotto il profilo dell’efficienza energetica, questi bandi indirizzano secondo voi in modo proficuo e virtuoso alla sostenibilità? Il laterizio con la sua derivazione dall’argilla, può essere di utile aiuto alla causa?
Sicuramente sì. Tutti i bandi PNRR hanno una parte molto rilevante, per gli edifici pubblici, per quanto riguarda il rispetto dei criteri ambientali minimi, e introducono anche questo principio DNSH volto a non arrecare danno all’ambiente; le richieste che provengono dai bandi vanno in questa direzione e sono molto importanti. Sicuramente all’interno di questo obiettivo generale della sostenibilità, della prestazione rispettosa dell’ambiente, sta anche l’attenzione all’origine dei materiali, al ciclo di vita, al fine vita degli elementi costruttivi, al possibile riutilizzo e alla naturalità. Sotto tutti questi aspetti il laterizio costituisce
una risorsa molto utile.

 

 

Alberto Ferraresi,
Architetto, libero professionista