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Monica Bruzzone + Lucio Serpagli

La misura piccola dell’architettura

Monica Bruzzone e Lucio Serpagli sono architetti e dottori di ricerca. Svolgono la libera professione e insegnano all’Università di Parma. Monica Bruzzone svolge attività di ricerca che diffonde anche in convegni scientifici internazionali. Di Lucio Serpagli in Costruire in Laterizio è pubblicata l’Abitazione a Bedonia (n. 119, pp.24-27).

In quale rapporto stanno buona costruzione e piccola dimensione?

MB. La misura piccola dell’architettura e la qualità diffusa del costruito delineano un’intima corrispondenza facile da cogliere quando si introducono altri due termini intermedi: il contesto e il dettaglio. I buoni edifici di piccola scala – mi viene in mente per esempio il Museo del Tesoro di San Lorenzo di Franco Albini a Genova – manifestano adeguatezza al luogo, che diventa il quadro culturale e materiale per il progetto, con le sue caratteristiche storiche, topografiche e persino climatiche. Quando si verifica la contaminazione tra l’indeterminatezza dell’idea e la concretezza del contesto, può maturare un’attitudine compositiva che prende atto sia della misura dell’architettura, sia del buon uso dei materiali, sia dell’attenzione agli aspetti costruttivi. Si interpreta un repertorio di forme, tecniche e materiali già definito dalla tradizione, e si giunge a comprendere come la buona architettura piccola, dipenda tanto dall’adesione al luogo, quanto dall’atteggiamento umanistico dell’architetto, che è al tempo stesso bravo artigiano e consapevole intellettuale. Il luogo e la perizia artigianale diventano quegli elementi speciali o, come direbbe Italo Calvino, quegli oggetti magici della narrazione, che guidano la prefigurazione del progetto. La buona costruzione interviene come elemento ordinatore nell’edificio di piccola dimensione, poiché consente un controllo complessivo sul processo progettuale, dal momento in cui l’idea si traduce in segno grafico, alla scelta consapevole dei materiali. Un processo che si verifica in cantiere, quando i particolari architettonici e i dettagli costruttivi non restano elementi indipendenti, ma concorrono a identificare ogni piccolo edificio come opera unica, irripetibile e formalmente compiuta.

Esiste un legame fra architetture minute e piccoli centri urbani? 

LS. Nei dintorni di Pistoia ho visitato la piccola Chiesa dei Santi Pietro e Gerolamo, disegnata da Giovanni Michelucci. L’edificio appare come un tradizionale casolare, il materiale con cui è realizzato e il trattamento dei volumi fanno sì che l’intervento sia veramente parte del paesaggio e del contesto geografico del piccolo Borgo di Collina di Pontelungo. Varcata la soglia d’ingresso del portico ombroso, procedendo nella penombra della navata, in prossimità dell’altare si comprende come la forza dello spazio interno, espressa dall’intensa luminosità che giunge sull’altare dalla superficie curva del controsoffitto, sia generata dalla contrapposizione tra la pesantezza del volume in pietra, e la leggerezza delle pareti interne, sbiancate a calce. Sono queste le ragioni più elementari della scrittura architettonica di un meditato rapporto interno/esterno comunicato qui attraverso il linguaggio dell’architettura spontanea, ma impostato con l’esperienza della grande architettura. Con pochi mezzi e limitate risorse emerge una sapiente «intenzione poetica». Con pari intensità, ricordo il lavoro di Carlo Scarpa nel modulare i volumi esterni dell’ampliamento della Gipsoteca come parte del tessuto del piccolo centro di Possagno; in tempi più recenti, va citata l’opera di Francesco Venezia che inserisce il Teatrino all’aperto nel contesto ambientale di Salemi; intriga anche il lavoro svolto sempre in Sicilia da Maria Grasso Cannizzo, con puntuali interventi su tessuti urbani di piccola dimensione. Ciascuna opera testimonia una ricerca di forte attualità, ancorata a valorizzazioni spaziali e ambientali di grande qualità.

Nel libro Le radici anonime dell’abitare moderno. Il contesto italiano ed europeo (1936-1980), affrontate anche il tema della piccola dimensione. Qual è il legame?

MB. La piccola dimensione, e il suo rapporto inscindibile con la buona costruzione, è talmente connaturata ai caratteri dell’architettura storica italiana da apparire una consuetudine irrinunciabile per il progetto, sia quando ci si confronta con la tradizione colta (Goethe restò colpito dalla piccola dimensione della Villa Rotonda di Palladio, tanto da definirla mirabilmente proporzionata, ma appena sufficiente per le esigenze della villeggiatura signorile), sia quando si interpretano gli elementi dalla cultura popolare. Come quando alla VI Triennale di Milano del 1936, viene esposta la mostra «Architettura Rurale Italiana» curata da Giuseppe Pagano con Guarniero Daniel. L’occasione configura un atteggiamento che era maturato negli ultimi decenni in ambito europeo. Accanto alla tradizione colta dell’architettura di ispirazione classica, Pagano sancisce il ruolo di maestro espresso dalla tradizione popolare, che non affonda le radici nei trattati teorici, bensì nella secolare attitudine a ben costruire. Il bisogno di tramandare un saper fare diffuso ha i propri cardini nella misura piccola della casa e della città storica. 

Pagano suggerisce che l’architettura moderna trae insegnamento dalla buona esecuzione del progetto, recuperando il repertorio formale estremamente vario della tradizione italiana. Essa mantiene intatto un invisibile filo conduttore, ma poi cambia di luogo in luogo in base alla cultura, alle caratteristiche topografiche e climatiche, alle tecniche artigianali, all’impiego consapevole dei materiali, secondo le loro potenzialità strutturali. 

La necessità di dare valore alle piccole architetture della tradizione popolare ha origine alla fine del XIX secolo, grazie agli approfondimenti di maestri come Viollet-le-Duc, Patrick Geddes, Gaudì, e successivamente di Berlage, Garnier e Alvar Aalto. Ma solo con la comprensione del messaggio culturale espresso dalla mostra di Pagano, la tradizione popolare diventa uno strumento di progetto. A partire dal dopoguerra, tale atteggiamento favorisce una reinterpretazione dell’architettura moderna, che contamina le tradizioni locali e stabilisce un’inaspettata continuità con il territorio. Basti pensare alle case popolari costruite con il Piano Casa, da maestri come Albini, BBPR, Gardella e Ridolfi, ma anche alla lezione di maestri europei, come Coderch in Spagna, Eldem in Turchia, Pikionis in Grecia e molti altri. 

Le prove di buona costruzione nelle opere di piccola scala diventano così un potente veicolo espressivo con cui il progettista può trasmettere contenuti culturali, prima ancora che documentare una scelta materica. La piccola dimensione dell’architettura nell’eredità moderna, null’altro è che una manifestazione di cultura, che, mediante il confronto tra tante espressioni individuali, svela un più vasto processo di consapevolezza collettiva.

Le «microarchitetture» costituiscono ancora modello per grandi architetture?

LS. Il tema è quello del rapporto tra il modello e la sua applicazione a grande scala, o tra il prototipo e la sua verifica in casi sempre più complessi. Nonostante le minuscole dimensioni, il Tempietto di San Pietro in Montorio è un caso esemplare, è il manifesto di un nuovo classicismo, in quanto contiene il germe dei grandiosi progetti di Donato Bramante per la costruzione di San Pietro. Nel linguaggio del Movimento Moderno un altro esempio significativo è la Maison Dom-Ino, espressione di una nuova modernità in divenire, prototipo elementare per creare insiemi più complessi. Il post-moderno perviene pure a grandi prove, basti pensare alla ricerca italiana degli anni ‘70, con quel movimento di idee denominato «La Tendenza». La ricerca architettonica attuale segue percorsi diversi, forse maggiormente collegati alle contingenze della realtà in cui si opera. Ma restano da ricordare capolavori senza tempo, come le opere di Mario Ridolfi, sempre attuali, con la singolare esperienza delle case di Terni proposte come modello, poi ripreso a una scala più ampia in quanto progetto di edificio pubblico. Si passa così dalla scala domestica delle abitazioni a quella «monumentale» dei grandi edifici per la collettività. Mettendo a confronto l’architettura di Casa Lina con i progetti per i Motel Agip, di Roma e Belgrado, e per il Palazzo degli uffici del Comune di Terni, si constata come la forma sfaccettata, quale risultato di una semplice conformazione a pianta centrale con un deciso trattamento materico delle superfici esterne, sia modello tanto per la piccola casa, quanto per il grande edificio.

In quali modi il laterizio può significativamente prestarsi all’architettura di piccola dimensione?

LS. Nell’ambito della cultura architettonica italiana, un piccolo edificio in cui il linguaggio architettonico è veramente caratterizzato dall’uso del mattone è la Cappella-altare dei Caduti a Varinella, presso Arquata Scrivia, progettata da Ignazio Gardella nel 1936. Qui, per la prima volta, nell’ambito del razionalismo italiano, vengono sperimentate soluzioni basate sul valore materico, tattile e cromatico delle superfici, come il fondale in grigliato di mattoni utilizzato da Gardella. Per l’autore è l’adesione a una tecnica costruttiva, è la trasmissione di un valore visivo affidato alla trama di un paramento murario, che secondo Giulio Carlo Argan rappresenta «l’elemento fondamentale nella definizione di una situazione ambientale». La dialettica tra l’architettura rigidamente modulare del moderno e il patrimonio dei linguaggi delle tradizioni locali giunge a un’inedita ricomposizione. Bene si interroga Gardella nel descrivere l’utilizzo della tessitura muraria in mattoni nel dispensario di Alessandria: «Il tema del grigliato l’avrei ripreso nello stesso periodo, in una Cappella-altare per i caduti: qui mi serviva per combattere la stereometria del volume cubico, sezionando la luce. La modulazione della luce stessa era affidata al materiale che veniva, nella sua concretezza tecnologico-costruttiva, a espletare un compito pienamente architettonico, quale quello più esplicitamente dichiarato della modanatura nell’architettura antica». E allora sì, quando il controllo della forma passa attraverso l’uso del laterizio, l’essenza stessa del materiale è una delle indimenticabili premesse alla grande architettura.

Alberto Ferraresi
Architetto, libero professionista